Ianuario
La storia di San Gennaro protettore di Cervinara (AV)
Pochi sanno che Ianuario era il vero nome di San Gennaro. Discendeva, infatti dalla famiglia gentilizia Gens Januaria sacra al bifronte dio Giano. Quindi Gennaro (trasformazione napoletana di Ianuario) non era il suo nome, bensì il cognome. Fonti non ufficiali affermano che il suo nome fu Procolo. (a lato il busto in argento esposto nel Duomo)
Al di la’ di questo, che andava chiarito, Gennaro resta, senza dubbio, una delle figure piu’ famose nel panorama partenopeo e si puo’ tranquillamente affermare che e’ noto in tutto il mondo. La leggenda ci dice che le origini di San Gennaro erano nobili e già nel grembo della madre faceva presagire che sarebbe diventato un santo in quanto, quando questa si recava in chiesa, sentiva agitarsi gioiosamente il bambino. La vicenda che vide coinvolto Gennaro, avveniva nella prima meta’ del III° secolo, in piena persecuzione cristiana da parte di Diocleziano. A quei tempi, Gennaro, vescovo di Benevento (si, di Benevento e non di Napoli!), insieme a Desiderio e Festo (uno lettore, l’altro diacono) si reco’ a Pozzuoli per fare visita ai fedeli. Saputo di questo viaggio, Sossio (diacono dell’odierna Miseno) gli ando’ incontro. Quest’ultimo venne, pero’, fermato lungo la strada ed arrestato per ordine di Dragonzio, giudice anticristiano.
Saputo dell’accaduto, i tre (Gennaro, Festo e Desiderio) sentirono il dovere di far visita all’amico finito in carcere a causa loro. Dragonzio approfitto’ dell’occasione per arrestare anche i tre. La sentenza fu di adorazione forzata degli idoli agli altari pagani e non avendo voluto abiurare la loro fede furono condannati. (a lato un busto del Santo di Cosimo Fanzago)
Al rifiuto, Dragonzio sentenzio’: divorati dalle belve nell’anfiteatro durante lo spettacolo circense nell’arena di Pozzuoli ma si scateno’ la ribellione della comunita’ cristiana che ottenne solo la conversione della pena: decapitazione, che fu eseguita nel Foro di Vulcano nei pressi della Solfatara di Pozzuoli nel 305. A sentenza eseguita, alcuni cristiani si incaricarono di seppellire i martiri e di conservare un po’ del loro sangue, rito usuale all’epoca dei fatti. Inizialmente il corpo del santo trovò sepoltura in un luogo detto Marciano nei pressi dei luoghi dove avvenne l’esecuzione, in seguito il vescovo di Napoli Giovanni I volle un sepolcro più decoroso e tra il 413 e il 432 traslò le spoglie del santo nelle catacombe napoletane sulla collina di Capodimonte. In quest’occasione una donna presentò le due ampolle affermando che contenevano il sangue coagulato di S. Gennaro. Come per provare la sincerità della donna il sangue si liquefece all’improvviso sotto gli occhi del vescovo e della folla riunita per assistere alla cerimonia di traslazione.
Il miracolo, da allora si ripete ogni anno in una delle date legate al santo: la vigilia della prima domenica di maggio ( data della traslazione ), e il 19 settembre, data del martirio. Il fenomeno, che si ripete anche nella pietra porosa, impregnata del suo sangue, nella chiesetta di Pozzuoli, non ha tuttora avuto una spiegazione scientifica: la scienza stessa lo definisce prodigioso.
Fu proprio in questo periodo, secondo alcuni storici, che si verifico’ la prima liquefazione. Si noto’ che, in vicinanza delle ossa del Santo, il contenuto delle ampolle da solido diventava liquido. Ma la data ufficiale della prima liquefazione e’ il 1389.
(a lato le ampolle con il sangue)
Su questo fenomeno si sono fatte molte speculazioni. Alcuni dicono che e’ un prodigio altri affermano che e’ un falso. Infatti il fenomeno e’ facilmente riproducibile in laboratorio con tecnologie ed elementi chimici gia’ disponibili nel periodo preso in considerazione.
(a lato un particolare di un’opera di Jusepe De Ribera)
Fascino e mistero anche nelle vicende che vedono coinvolti i resti del Santo. Continui spostamenti e traslazioni. Finanche il longobardo Duca Sicone nell’831 se ne imposessò trafugandone i resti e sistemandoli a Benevento, la citta’ che vide Gennaro Vescovo. Nel 1156 furono ancora una volta trasferiti a causa di una cruenta lotta tra il ducato di Benevento e quello di Napoli, le cui spoglie del martire furono trasferite e murate dietro l’altare maggiore del Santuario di Montevergine ad opera del Re normanno Guglielmo il Malo, qui se ne perse il ricordo per circa 3 secoli quando, nel 1480, per lavori di restauro all’altare, furono ritrovate, dopo vivacissime schermaglie con i monaci di Montevergine, che si arresero di malavoglia all’ordine del loro superiore di restituire la cassa con le ossa di San Gennaro. La vicenda è raccontata dai bassorilievi di argento del paliotto della cappella del tesoro per volere dell’Arcivescovo di Napoli Alessandro Carafa che ottenne il permesso di riportarle a Napoli, nel 1492 vide la sua attuale sistemazione nel Duomo di Napoli in una cappella a lui dedicata, insieme alle ampolle contenenti il sangue. Molti sono gli episodi veri o falsi che fanno da corollario ai misteri gennariani. Per secoli, quando la città si trovava in pericolo per motivi di ogni natura, eruzione del Vesuvio, soprattutto, ma anche epidemie, terremoti, assedi di eserciti stranieri il popolo napoletano chiedeva che il busto d’oro e d’argento di San Gennaro e le ampolle col suo sangue fossero esposti e portati in processione.
Così scrive Vittorio Paliotti: “San Gennaro e il Vesuvio, Il Vesuvio e San Gennaro, un binomio i cui due poli erano in antitesi, ma che nello stesso tempo sì integravano, perché quando il Vesuvio era calmo, si supplicava San Gennaro di lasciarlo così, e quando il Vesuvio infieriva, si supplicava San Gennaro di rabbonirlo.” Ed è del 17 agosto 1389 la data del primo “miracolo” storicamente accertata. A Napoli, si succedevano le dominazioni: dai normanni agli svevi, dagli angioini al ramo durazzesco dei d’Angiò, ma il culto di san Gennaro restava come punto fermo nella vita della città. E oltre al popolo, gli stessi regnanti manifestavano grande ossequio e venerazione verso il patrono, probabilmente convinti, in questo, proprio dal tangibile consenso che il popolo manifestava verso il protettore. Fu il re Carlo II d’Angiò a disporre la realizzazione del busto d’oro e argento che custodisce le ossa del cranio, e fu Roberto d’Angiò a volere la teca, pur’essa d’argento, per conservare le ampolline col sangue. Ed era sempre la protezione dalle minacce del Vesuvio il maggior ufficio che Napoli aveva delegato a San Gennaro. Nei giorni del miracolo sedevano in prima fila, in Chiesa, le cosiddette “parenti” di San Gennaro, donne di origine popolare, provenienti per lo più dai quartieri del Molo Piccolo. Le prime fra loro, in ordine di tempo, portavano il cognome “Ianuario”, e questo bastò per convincerle e convincere gli altri di essere discendenti del santo Gennaro. Loro, le “parenti”, potevano parlare al busto di San Gennaro, rivolgendogli implorazioni, esortazioni a non tardare nel fare il miracolo, frasi tenere, e anche qualche epiteto colorito e irriverente, che Matilde Serao definì “vezzeggiativi scherzosi”. La processione, da quando fu istituita dall’Arcivescovo Giovanni Orsini, nel 1337, divenne e restò tale per molti secoli, la più importante cerimonia religiosa aperta alla città.
Nel sabato che precedeva la prima domenica di maggio, la statua del patrono veniva trasportata, con un lungo e affollato corteo liturgico in un’altra chiesa, scelta a rotazione tra le sette basiliche più importanti. Poi tornava in Duomo, da dove il giorno dopo ripartiva con un’altra solenne processione, detta “degli inghirlandati”, perchè chi vi partecipava, doveva portare in testa una corona di rose e tenere tra le mani un ramoscello fiorito e una gabbietta con uccellini: una simbologia arrivata dal mondo delle antiche celebrazioni pagane di primavera, riutilizzate per un culto cristiano. Dal 1389, data del primo miracolo storicamente accertato, si decise di far seguire il busto dalla teca con le ampolle. E fu nel 1525 che il rapporto tra San Gennaro e la città divenne ancor più stretto e sentito: l’eletto del popolo chiese e ottenne che busto e teca col sangue, usciti dal Duomo, fossero portati in processione non in una chiesa ma in una piazza della città. Si consolidava così quel rapporto diretto e familiare che il popolo napoletano seppe stabilire col suo santo protettore. Dal 1800, invece, la processione di maggio lasciò cadere il contatto pieno col popolo e i quartieri cittadini, tornando ad avere come meta una chiesa, una sola e per sempre: Santa Chiara.
E i “compatroni”, da sei che erano all’inizio, mano a mano crebbero di numero, fino ad essere 51. 51 statue d’argento per altrettanti santi, elevati al rango di compatroni di Napoli su sollecitazione di Chiese, conventi, ordini monastici, privati cittadini. Resta ancora oggi una tenace scia di religiosità popolare a tener vivo il discorso sull’antico patrono, tra fede e religione. Quella scia che lungo un cammino sotterraneo e impalpabile nel lento giro d’un millennio e mezzo ha collocato San Gennaro al centro di un grandioso fenomeno di religiosità popolare e di un radicatissimo culto, tali da non avere uguali al mondo. Inoltre durante il Concilio Vaticano II, la venerazione di San Gennaro fu limitata in ambito locale: in pratica fu declassificato come Santo di serie “B”. Ma la devozione dei napoletani fu, ed e’, tale che pochi giorni dopo sui muri della citta’ fu scritto: “San Genna’, futtetenne!”
Interno dell’Abbazia di San Gennaro della frazione Ferrari di Cervinara (AV) si vede dietro l’altare la statua di San Gennaro.